Superbia, orgoglio, lussuria: ecco la triade infernale che qualifica la neochiesa

Come definire la chiesa conciliare? Me lo chiedono in tanti. Io utilizzerei semplicemente una parola: anticristica. Ma a chi volesse approfondire riporto un articolo di Francesco Lamendola (che ho letto sul blog apostatisidiventa.blogspot.it) nel quale vengono trattati tre elementi qualificanti la neochiesa che va a braccetto con il mondo e le sue perversità.
p.Elia
 
Se un Antonio Rosmini dei nostri giorni dovesse scrivere un libro che sia l’equivalente del suo famoso Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, crediamo che il titolo adatto potrebbe suonare più o meno così: Dei tre peccati capitali della neochiesa gnostica e massonica.
La superbia consiste nel fatto che una pletora di pseudo teologi, di cardinali e vescovi massoni, di preti progressisti e modernisti, nonché di “fiancheggiatori” laici, storici, sociologi, psicologi, eccetera, sente di essere stata chiamata a una missione epocale: cambiare la Chiesa, perché la Chiesa, evidentemente, così come l’hanno trovata, non era più di loro gusto; e, insieme alla Chiesa, essi hanno deciso di cambiare la liturgia, la pastorale, la dottrina, la teologia. Nel loro atteggiamento di sufficienza, se non di vero e proprio disprezzo, verso quasi duemila anni di sacra Tradizione; nel loro ostentato snobbare la santità, l’acesi, la mistica, la morale cattolica così come essa è sempre stata custodita e insegnata dal Magistero; nella loro pretesa di aver capito di più, e meglio, di quanto non avessero capito, del Vangelo, i Padri della Chiesa, i Dottori, i Santi e le Sante, loro, codesti vescovi massoni e codesti preti “di strada”, invasati da una demagogia sfrenata e da un narcisismo senza limiti, che pure dovrebbero sentirsi piccoli come dei pigmei davanti a una santa Teresina del Bambino Gesù, a un san Massimiliano Kolbe, a un san Pio da Pietrelcina, arricciano il naso, aggottano le sopracciglia, assumono un’espressione sussiegosa, e obiettano che la Chiesa, oggi, non ha bisogno di mistici o di santi, quanti di preti che lavorano per i poveri, che si rimboccano le maniche per accogliere e ospitare i cosiddetti profughi, che si sporcano e s’impregnano dell’odore delle pecore. Come se i Santi non avessero amato e servito il prossimo quanto loro e più di loro, ma senza la loro superbia intellettuale, senza la pretesa di disprezzare la contemplazione di Dio e la preghiera, senza quell’aria di chi la sa più lunga di chiunque altro, solo perché appartiene al mondo moderno: circostanza che, semmai, dovrebbe suonare come una nota di biasimo per il vero cristiano, dato che la modernità è la massima espressione di una civiltà luciferina, anticristiana, sostanzialmente anche anti-umana; e un cristiano che appartiene alla mentalità del mondo attuale non è un vero cristiano, ma un apostata camuffato da seguace di Gesù Cristo.

L’orgoglio risiede nel fatto che costoro sanno, nell’intimo della loro anima, di essere semplicemente dei post-cattolici, degli ex credenti, insomma di aver perso la fede; tuttavia non sono disposti ad ammetterlo. Non perché sperino di ritrovarla; non perché intendano chiedere umilmente a Dio di venir loro incontro alla loro incredulità, alla loro debolezza umana; ma, al contrario, perché non vogliono fare la figura degli orfani, dei trovatelli. Sono seccati all’idea di far sapere a tutti che non credono più in ciò che credevano un tempo: come un riccone caduto in miseria, il quale non vuol far sapere agli altri di avere le pezze al sedere, e sarebbe pronto e disposto a qualsiasi cosa, a qualsiasi bassezza, perfino a qualsiasi delitto, pur di mascherare quelle pezze, pur di buttare del fumo degli occhi al prossimo e fare finta che tutto proceda come sempre, che soldi ne abbia ancora come un tempo, e che sia anzi pronto a sperperarli, tanto lui è talmente ricco che non sta lì a guardare qualche migliaia di euro in più o in meno. Orgoglio: la totale, assoluta, patologica mancanza di umiltà. Nessuno deve sapere che dietro la facciata c’è il nulla. E così loro: nessuno deve sapere che si riempiono più che mai la bocca con il Vangelo e con Gesù Cristo, ma la verità è che si son fatti un vangelo su misura e un Gesù Cristo rivisto e corretto secondo le loro necessità di atei mascherati. Ed ecco la trovata “geniale”: forzare il senso del Vangelo, isolare dal contesto alcune affermazioni di Gesù Cristo, espungere dal Vangelo quel che non gradiscono e tagliar via dai discorsi del Redentore le cose che suonano male ai loro orecchi. E il gioco è fatto. Nessuno potrà dire che hanno perso la fede; al contrario, tutti dovranno ammirare la loro sagacia, la loro generosità, la loro concretezza, e specialmente la loro fede straordinaria, assai più “matura”, più “approfondita”, più vicina ai bisogni degli “ultimi” di quella di personaggi quasi insignificanti come san Paolo, sant’Agostino, santa Elisabetta d’Ungheria, san Tommaso d’Aquino, san Francesco d’Assisi, santa Chiara, santa Caterina da Siena, santa Brigida di Svezia, san Giovanni della Croce, santa Margherita Maria Alacoque, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, san Giovanni Bosco, san Massimiliano Kolbe, san Leopoldo Mandic, san Pio da Pietrelcina.

La lussuria è praticata in due maniere: nascostamente, e quindi vergognosamente, come fanno gli osceni prelati omosessuali i quali, in Vaticano, hanno formato una vera lobby gay, dedita a festini e orge scandalosi, ma anche a rituali ancor più turpi, di tipo magico ed esoterico; sia in forma aperta ed ostentata, con la sfacciata rivendicazione della licenza sessuale, come ha fatto padre Krzysztof Charamsa, presentando il suo “compagno” alla stampa, e vantandosi della propria omosessualità, o come ha fatto e continua a fare padre James Martin, il quale scrive libri e articoli per sostenere quanto l’omosessualità sia una cosa bella e giusta, e per esortare la Chiesa ad abbandonare i suoi vieti pregiudizi e a riconoscerla pienamente, con tanto di matrimonio gay. Ma ci sono anche dei sacerdoti come don Andrea Contin, il prete di Padova che aveva delle squallide relazioni con decine di amanti della sua parrocchia, e si abbandonava a sfrenatezze, orge, ricatti d’ogni tipo e perfino pratiche sadomasochiste, sotto il naso del suo vescovo “di strada”, monsignor Claudio Cipolla, che nulla vedeva e nulla sapeva (quello, per intenderci, che toglierebbe senz’altro i simboli cristiani dai luoghi pubblici per non pregiudicare il “dialogo” con gli amici musulmani); o i preti pedofili, che pullulano addirittura in certi ambienti ecclesiastici, e della cui depravazione non si finisce mai di restare scandalizzati e amareggiati. Vi sono, pertanto, i lussuriosi attivi, e vi sono i teorici della libertà sessuale anche nella navicella di san Pietro: libero sesso in libera chiesa. E non si sa quale delle due categorie sia più spregevole e più meritevole della tremenda punizione divina. Se un Jozsef Wiesolowski, nunzio apostolico a Santo Domingo, ha insozzato irreparabilmente dei bambini con le sue voglie immonde, i “teorici” della licenza sessuale, come il già citato James Martin, un gesuita che ha molto seguito negli ambienti cattolici ”progressisti” degli Stati Uniti d’America, è responsabile, forse, di un’opera ancor peggiore, perché con le sue affermazioni toglie la percezione del peccato e dà ad intendere, mettendo le anime su una strada falsa e pericolosa, che non solo Dio tolleri, ma che approvi la sessualità deviata e contro natura, e sostiene inoltre che la Chiesa dovrebbe fare altrettanto.
Un giorno, forse, padre Charamsa si pentirà e si vergognerà del suo atto inaudito, perché – dicono – il suo animo non è cattivo; ma che dire dalla protervia intellettuale di un padre Martin, e anche di quella di un Vincenzo Paglia, che fa “decorare” il duomo di Terni con un enorme affresco blasfemo, pieno d’invertiti e transessuali, in mezzo ai quali si è fatto fare pure l’autoritratto, o di un Nunzio Galantino, il quale ha affermato che Dio risparmiò, sono parole sue, Sodoma e Gomorra? Per tali iniziative, per tali esempi di scandalo ai fedeli, non può esservi alcuna giustificazione; si tratta d una malizia deliberata e ponderata, dunque niente a che fare con certe “uscite” estemporanee di questo o quel sacerdote. Si tratta della parte più visibile, e più vistosa, di una manovra assai più ampia, mirante e screditare la Chiesa e, nello stesso tempo, a inquinare la sua dottrina morale, a indebolirla, a farla vacillare, a scuoterla, facendo leva proprio sul fattore della umana fragilità davanti agli stimoli dei sensi, cioè al livello più basso delle umane tentazioni. E si nota, anche in quest’ambito, come in tutti gli altri, che mentre le truppe mandate avanti sono formate semplicemente da persone deviate, dominate dalla carne, ma, tutto sommato, ingenue ed altamente strumentalizzabili, i quadri, invece, per così dire, sono formati da elementi scelti, il cui scopo preciso è quello di seminare perplessità, dubbi, confusione, e poi approfittare dello sconcerto generale per fare leva, come con un grimaldello, su tale confusione, e scardinare l’intero edificio della Chiesa, dottrina compresa. È una strategia molto, molto vecchia: si favorisce l’abbrutimento degli uomini incoraggiando il disordine e la schiavitù dei sensi, e poi, una volta aperta la breccia, la si allarga in tutte le altre direzioni: dalla liturgia alla pastorale, dalla teologia all’azione sociale, assistenziale e caritativa. Perché gli esseri umani, una volta dominati dalla schiavitù dei sensi, perdono la loro fierezza insieme alla loro lucidità, e diventano persone deboli, vulnerabili, ricattabili, schiave del vizio e, nello stesso tempo, animate dal folle orgoglio di chi non ha più paura di nulla, non sa arrossire più di nulla, e si mette a sbandierare dai tetti la propria degradazione.

Superbia, orgoglio, lussuria: ecco la triade infernale che qualifica la neochiesa agnostica e massonica, progressista e relativista, la quale si sta sostituendo, una cellula dopo l’altra, gradualmente, metodicamente, implacabilmente, al corpo della vera e autentica Sposa di Cristo. Una triade che porta con sé una ulteriore triade del peccato: perché la superbia genera il disprezzo e la durezza di cuore; l’orgoglio genera l’ipocrisia e la falsità; e la lussuria genera la mollezza, l’indolenza, il cinismo, e soprattutto la spudoratezza. Ora, quando un individuo ha perso il pudore, ha perso anche la sua umanità: perché si potrebbe dire che l’uomo è quella creatura che possiede la capacità di arrossire delle proprie colpe. In quel rossore c’è, allo stato potenziale, il pentimento, che produce la conversione e, da ultimo, la salvezza; ma se le persone perdono la capacità di arrossire, è come se perdessero anche la possibilità di pentirsi, e si consegnassero da se stesse all’eterna dannazione.